SpacePharma e i test biomedici in orbita progettati da Israele
La rassegna stampa di «INFORMAZIONE CORRETTA»
Testata: La Stampa
Data: 11 dicembre 2019
Pagina: 31
Autore: Nicla Panciera
Titolo: «La prima società di test biomedici in orbita»
Far girare un esperimento in condizioni di microgravità è come noleggiare un camper? Non ancora, ma è un’opportunità sempre più a portata di mano. Tanto che oggi ci si può rivolgere a un privato che fornisce questo servizio futuribile. SpacePharma, azienda svizzero-israeliana con una sede (ovviamente) anche a Palo Alto in California, è la prima a produrre e affittare laboratori orbitanti nello spazio per la ricerca biomedica: strutture delicatissime, miniaturizzate e sigillate in contenitori di 30x10x10 centimetri che non raggiungono i tre chili di peso, automatizzate e già perfettamente equipaggiate con strumentazioni e materiali per ogni tipo di esperimento, ovviamente controllabile da remoto in tempo reale. Il presidente di SpacePharma, Yossi Yamin, interverrà all’Expo-Forum europeo sulla New Space Economy, dedicato alla «nuova economia spaziale», un settore che in Italia tocca già un fatturato di 1,8 miliardi di dollari l’anno. Ex colonnello dell’esercito israeliano (al lavoro con i satelliti dell’intelligence militare), nel 2012 ha fondato l’azienda insieme con un collega conosciuto nelle forze armate, Ido Priel. Dopo l’iniziale supporto governativo, ha ottenuto una serie di finanziamenti dall’Unione Europea e dall’agenzia spaziale israeliana, la Israel Space Agency, e anche dalla Space Florida, per citare alcuni tra i nomi più prestigiosi, ma anche dagli Istituti di Sanità americani, i Nih.
Le ricerche di biomedicina in condizioni di microgravità sono condotte da decenni, anche dalle varie agenzie spaziali. La novità, però, sta nel rendere l’ambiente accessibile a tutti. L’idea è quella di «connettere attori spaziali e chi conduce ricerca nelle scienze della vita – dice Yamin -. Molti altri attori, comunque, sono interessati a condurre in autonomia le proprie ricerche nei nostri laboratori orbitanti: aziende farmaceutiche, agro-alimentari e cosmetiche. Un’opportunità sempre più facilitata dalla miniaturizzazione e dalla progressiva riduzione dei costi». Che cosa si studia in orbita a circa 500 chilometri dalla Terra? Dalla dinamica dei fluidi alla microbiologia, dai dispositivi miniaturizzati «organ-on-chip» a nuovi modelli di proliferazione delle cellule staminali, fino alla struttura degli anticorpi monoclonali, protagonisti di molte battaglie come quella, considerata decisiva, contro le malattie neurodegenerative. «Bisogna capire come funzionano i vari processi in condizioni diverse da quelle terrestri» – dice Yamin -. E, quindi, i risultati vanno adattati e tradotti per poi applicarli alle condizioni terrestri». Oggi sono quattro le missioni, ma una quinta è imminente. Si chiamerà «Dido3» e sarà una collaborazione italo-israeliana: durerà meno di tre anni ed è finanziata dall’Israel Space Agency e dall’Agenzia Spaziale Italiana. Otto scienziati sulla Terra si dedicheranno a tempo pieno alla realizzazione di quattro progetti di ricerca biochimica: sulla diffusione dei geni di antibiotico-resistenza e la loro espressione (guidato da Raffaele Zarrilli, del dipartimento di salute pubblica dell’Università Federico II di Napoli insieme con lo Sheba Medical Center); sulla riconfigurazione della struttura e della funzione del Dna (guidato da Alessandro Desideri del dipartimento di biologia dell’Università di Roma Tor Vergata insieme con l’Università Ebraica di Gerusalemme); sulle reazioni enzimatiche nei batteri (guidato da Giuseppe Falini del dipartimento di chimica dell’Università di Bologna insieme con il Technion); sulle proprietà leganti dell’albumina (guidato da Alessandra di Masi del dipartimento di scienze dell’Università di Roma Tre in collaborazione sempre con il Technion) . Fin qui, ricerca. Ma il presidente di SpacePharma non esclude che, un giorno, si potrà trasferire lassù, in orbita, anche parte della produzione. Per il problema degli ingombri «sono già in fase di costruzione piccoli shuttle, come quelli dell’italiana Alenia Spazio. E, comunque, «saranno portate nello spazio molte manifatture del futuro, con tecnologia “green” e strutture alimentate da pannelli solari. Orbitanti a centinaia di chilometri d’altezza, consentiranno risparmio di suolo terrestre e potranno essere telecomandate da esseri umani, magari in spiaggia. Non ha senso – sottolinea – restare ancorati a Terra». «L’Italia e l’Agenzia Spaziale – conclude – stanno facendo molto: credo che il vostro Paese possa essere leader in questo settore»