È in Israele l’ospedale dei sogni
La rassegna stampa di «INFORMAZIONE CORRETTA»
Testata: La Stampa
Data: 14 gennaio 2020
Pagina: 33
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «L’ospedale dei sogni si chiama Sheba»
L’ospedale Sheba
Accelerare, Riprogettare, Collaborare: tre parole chiave per un acronimo – «ARC» – che sintetizza la missione del nuovo «Innovation Center», nel campus dello Sheba Medical Center, in Israele. Tra i 10 migliori ospedali al mondo secondo la rivista «Newsweek», lo Sheba cura ogni anno oltre due milioni di pazienti. E aggrega una quantità impressionante di dati. L’«Arc» chiama a raccolta medici start-up, industria e partner internazionali per valorizzare i Big Data con l’obiettivo di trasformare il futuro dell’assistenza sanitaria.
Sei aree di sviluppo La strategia consiste nell’incontro tra necessità e soluzioni. E in un’azione veloce e mirata. In soli due anni di incubazione del progetto, diretto da Nathalie Bloch – internista e medico di famiglia con laurea in medicina in Israele e un curriculum che l’ha portata prima a Vienna e poi a Boston, – il nuovo ecosistema ha già accolto 20 start-up e individuato sei campi di sviluppo, ognuno diretto da un medico senior di Sheba: medicina di precisione, telemedicina, realtà virtuale, Big Data e Intelligenza artificiale, innovazione chirurgica e riabilitazione. Nel coworking, con open space e uffici-«acquario», lavora una squadra di 18 persone tra scienziati, ingegneri informatici, project manager e un esperto di cloud computing. «In molti provano a creare questa sinergia – spiega la direttrice dell’Innovation Center -. Alla scuola di medicina di Harvard, a Boston, in due anni, ho portato una sola start-up, qui, invece, 20. La differenza? Allo Sheba c’è molta più flessibilità». La rapidità del passo è garantita dalla presenza fissa di esperti in normativa e di un comitato etico. «Le start-up portano le tecnologie per testarle in ospedale. Con il personale medico creiamo un pilota e svolgiamo i test e le verifiche. Tutto è esaminato dal comitato etico». Un esempio è Datos, azienda di software per l’assistenza sanitaria remota che ha già sviluppato due prodotti – per la riabilitazione cardiologica e l’assistenza psichiatrica – e che ora sta lavorando su altri progetti. Ikonisys, multinazionale biotech con sedi e centri di ricerca negli Usa e in Europa (anche in Italia), ha invece sviluppato una piattaforma diagnostica, tecnologica e automatica: costituita da un microscopio elettronico associato a un software, è finalizzata alla ricerca delle cellule malate in oncologia. «Un protocollo medico ancora non esiste, stiamo entrando in questo settore con Sheba, che è un partner di eccellenza – anticipa Mario Mauri, membro del cda di Ikonisys -. La collaborazione è importante, perché hanno milioni di pazienti e i dipartimenti di oncologia e di patologia sono estremamente validi».
Dai problemi alle soluzioni Il ritmo è serrato. Ogni due settimane c’è un open-day per la selezione di nuove start-up, ma vale anche il percorso inverso: i medici possono evidenziare esigenze cliniche non soddisfatte, portare intuizioni e idee, lavorare con gli sviluppatori di start-up attraverso cicli accelerati e sviluppare soluzioni e prodotti destinati al mercato globale della sanità. Robert Klempfner, cardiologo, è il direttore dell’Istituto di riabilitazione e prevenzione cardiaca a Sheba. Per lui «Arc» è una manna dal cielo. «Noi medici conosciamo i problemi: viviamo sul campo, siamo a contatto con le difficoltà e le sfide. Abbiamo bisogno di soluzioni semplici da usare, su misura per problemi reali e diffusi». Non a caso, al suo fianco, c’è la start-up Well-Beat. Insieme cercano di risolvere la mancata aderenza ai trattamenti da parte dei pazienti. «Spesso – spiega Klempfner – le persone non seguono le terapie o i programmi di riabilitazione, anche quando possono ridurre la mortalità o l’ospedalizzazione. Dopo un infarto al miocardio, il tuo stile di vita deve cambiare: esercizi, medicine, una dieta, smettere di fumare. Ai dottori manca il tempo di capire come motivare un individuo».David Voschina, uno dei co-fondatori di Well-Beat, ha elaborato la soluzione: «Cerchiamo di fornire un’istantanea della personalità del paziente. Così si può migliorare il dialogo. Abbiamo creato una serie di linee guida per i medici. Per ogni singolo paziente ci sono suggerimenti su cosa dire o fare e cosa evitare. Otto parametri aiutano il dottore a colpo d’occhio e poi si entra nei dettagli». I risultati? «Dopo il pilota di sei mesi – illustra Voschina – abbiamo triplicato il tasso di aderenza: dal 25% rilevato dopo i primi tre mesi, adesso siamo intorno al 75%». «Arc», quindi, è diventato un modello da seguire. «Quello che abbiamo appreso dalla formazione in Israele – scrive in una nota l’Ottawa Hospital – migliorerà in modo significativo i nostri sforzi “made in Canada” per raggiungere una qualità più elevata a costi inferiori e a sostegno di una popolazione più sana». I fondatori di «Arc» scommettono infatti sul fatto che le sfide sanitarie possano essere risolte se al processo partecipano anche esperti esterni al sistema, insieme con i pazienti e l’industria.