Israele, il Paese delle startup vuole crescere ancora
La rassegna stampa di «INFORMAZIONE CORRETTA»
Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 14 settembre 2019
Pagina: 16
Autore: Roberto Bongiorni
Titolo: «Israele, il Paese delle startup ora vuole una economia con filiere industriali»
La chiamano «Start up Nation». E forse non c’è definizione più efficace. La piccola Israele è l’Eldorado della ricerca e sviluppo e dell’Hi-tech, il luogo dove si è creata l’alchimia giusta tra settore privato e pubblico (con un ruolo primario dell’esercito) affinché le start up prosperino. Ce ne sono davvero tante, quasi 6 mila, ovvero una ogni 290 abitanti. Nessun paese al mondo si avvicina a questo primato. Israele è anche il secondo Paese per investimenti di capitale di rischio pro-capite (293 dollari). Ed il terzo, in termini assoluti, per numero di aziende quotate al Nasdaq (sono ben 83), dietro solo Stati Uniti e Cina. La quota di investimenti per la ricerca e sviluppo è pari al 4,3% del Pil (l’Italia ne dedica solo 1,3%). Il dinamico settore dell’Hi-tech impiega l’8% della forza lavoro, genera il 13%del Pil ed il 50% delle esportazioni. Il suo contribuito alla crescita di Israele è determinante. Nonostante si trovi in una regione turbolenta e sia circondato da nemici, il Paese presenta un’economia solida e resistente alle crisi. Lo dimostra la crescita del Pil negli ultimi 15 anni (quasi il 13,5% di media).
Lo scenario macro-economico è ancora rassicurante: la disoccupazione si trova ai minimi storici, intorno al 4%, l’inflazione occupa la parte bassa della forchetta fissata dal governo (1-3%). II tasso di crescita Nel secondo trimestre dell’anno l’economia israeliana ha deluso le attese: è aumentata nel 2018 del 3,3% dopo essere salita del 13,5 nel 2017. Quanto al Pil pro capite, nel 2017 è arrivato a 40.270 dollari: più dell’Italia, ma anche della Francia e del Regno Unito. Quanto ai conti pubblici, negli ultimi 20 anni il debito pubblico è sceso dal 90% al 60% del Pil. Certo, la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina non poteva non riflettersi su questa piccola economia da 370 miliardi di dollari. «Israele praticamente non esporta nei paesi limitrofi, ma è molto aperta verso l’estero. Il 40% del suo interscambio complessivo è diretto in Europa ed i1 24% negli Usa», spiega Fabrizio Camastra, direttore dell’Ice di Tel Aviv. In questo scenario, nel secondo trimestre dell’anno la crescita si è fermata all’1%,sotto le attese. L’export di beni e servizi, balzato nel primo trimestre del 9,9%, è aumentato solo del 2,8% nel secondo. Le maggiori spese statali e le minori entrate fiscali hanno spinto il deficit vicino al 14% del Pil, sopra l’obbiettivo del 2,9% fissato dal Governo. Il Ministero del Tesoro, però, non mostra preoccupazione. Già nel 2020 il deficit dovrebbe ridursi. Eppure il Governo sa bene che Israele non potrà continuare a lungo ad essere solo il Paese delle start up. Deve sviluppare un’economia meno limitata e più matura, dove lo sviluppo di filiere industriali contribuisca a ridurre quella sperequazione della ricchezza che sta originando sperequazioni sociali.
Parte delle riforme strutturali entrate in vigore tra la fine del 2018 e il 2019 – orientate ad una maggiore liberalizzazione ed alla riduzione della burocrazia – puntano proprio a questo: trasformare Israele da Start up Nation a Scale Up nation. Le condizioni ci sono. Grazie anche alle produzioni dei grandi giacimenti di gas naturale, questo paese, il cui tallone d’Achille era la dipendenza energetica, presenterà in futuro costi dell’energia sempre più bassi. Per far sì che la metamorfosi avvenga, l’industrializzazione di Israele sarà accompagnata da un piano molto ambizioso: nei prossimi 10 anni sono previsti 55 miliardi di dollari di investimenti in opere infrastrutturali. Per un paese di 8,5 milioni di abitanti, esteso quanto la Lombardia, è davvero tanto. «Oggi – continua Camastra – ci sono grossi investimenti a livello di energia, sia per le fonti rinnovabili, sia nel gas naturale. Nel settore del trasporto dell’energia si apre un’opportunità interessante per le aziende italiane specializzate, ma occorre una maggiore presenza qui in Israele per avere più successo nelle gare». Un punto di vista confermato dai fatti. Negli ultimi anni il numero di multinazionali straniere che hanno aperto centri di Ricerca e Sviluppo in Israele è impressionante: più di 300, inclusi anche gruppi cinesi. Le grandi imprese italiane sono invece solo due, tra cui Enel. Un decimo di quelle tedesche. Per divenire una Scale up economy Israele ha bisogno dell’Europa, e l’Europa ha bisogno di Israele. Un discorso che vale ancor di più per l’Italia «Siamo complementari – precisa il direttore dell’Ice – perché l’ecosistema italiano rappresenta un’eccellenza nel manifatturiero, quello israeliano è invece un’eccellenza nella ricerca e nell’innovazione. Le start up israeliane interessano a noi, e noi interessiamo a loro». Un connubio vincente che richiede tuttavia un’attività di collaborazione e conoscenza (le iniziative in questa direzione dell’ambasciata italiana e dell’Ice sono numerose). Le opportunità che si aprono sono promettenti, soprattutto nei settori della smart mobility, dei medical device, in quelli dell’intelligenza artificiale, dell’aero-spazio e delle tecnologie legate all’agricoltura. «Israele deve cercare di non vendere subito idee e servizi all’estero, ma passare anche alla produzione» aveva spiegato al «Sole 24 Ore» in aprile Natanel Haiman, capo economista della Confindustria israeliana». La Start up Nation vuole crescere.