Agricoltura e innovazione: ecco il modello Israele
La rassegna stampa di «INFORMAZIONE CORRETTA»
Testata: Il Foglio
Data: 30 maggio 2019
Pagina: 4
Autore: Gabriele Carrer
Titolo: «Dalla Galilea si vede il futuro»
Attraverso i molteplici fondi della sua Jerusalem Venture Partners (JVP) ha raccolto in un quarto di secolo oltre 1,3 miliardi di dollari. Erel Margalit, secondo la lista Midas di Forbes, è il primo venture capitalist non americano del mondo. Il quotidiano finanziario israeliano TheMarker lo ha definito il venture capitalist che “trasforma in oro quello che tocca”. La sua storia è strettamente legata all’agricoltura: i suoi genitori vivevano in un moshav (gli insediamenti agricoli nati in seguito alle migrazioni ebraiche di inizio Ventesimo secolo), lui è nato nel kibbutz dove sono stati inventati gli irrigatori e poi è diventato uno degli artefici del formidabile sviluppo industriale del suo Paese. Dalle figlie ha imparato l’attenzione al cibo salutare: la “sfida dei prossimi 20 anni per il mondo”. “Ho tre figlie che non mangiano ciò che ero abituato a mangiare io, e le loro scelte hanno influenzato molto le mie nonché il mio impegno. I millennial cercano nel cibo una fonte di salute: non soltanto di nutrizione”. Così il mondo sta vivendo, continua Margalit, una corsa a reinventare il cibo (e i processi di produzione del cibo) paragonabile a quella che abbiamo visto negli anni passati in California per lo sviluppo di computer, smartphone e molto altro. “Questa innovazione viene non soltanto dalle grandi aziende: buona parte nasce dalle start up e dalle università”. Nel suo curriculum Margalit non ha soltanto la fondazione di una delle prime sei venture capital al mondo ma anche quattro anni al Parlamento israeliano. Margalit è stato un deputato dei laburisti, alla guida della commissione per la sicurezza informatica e per lo sviluppo del nord e del sud del paese. Lasciata la Knesset ha fondato nel 2013 l’organizzazione «Israel Initative 2020» per rispondere alle sfide di un paese definito la “start up nation” ma in cui il 21,2 per cento della popolazione (cioè 1.780.500 persone) vive al di sotto della soglia di povertà e in cui soltanto un israeliano su 25 lavora nell’hi-tech. Così Margalit ha diviso Israele in sette regioni di eccellenza con l’obiettivo di creare lavoro e sviluppo, combinando tecnologia e istruzione. Da questo modello sono nati il JVP Media Quarter a Gerusalemme e il Cyber Quarter a Be’er Sheva, nel sud di Israele, dove prima era tutto deserto del Negev e dove oggi sorge una città della sicurezza informatica nella quale convivono start up, multinazionali come IBM, Lockheed Martin e Deutsche Telekom, le varie agenzie governative che si occupano di difesa di infrastrutture e sistemi informatici e l’Università Ben Gurion.
Abbiamo incontrato Margalit in un bar del centro di Milano: è stato in città per partecipare al «Seeds&Chips», il più importante evento internazionale dedicato all’innovazione nella filiera agroalimentare, e per incontri con imprenditori e politici italiani. “Sono venuto a Milano alla ricerca di nuove sinergie, come quelle con l’Università di Firenze, la Regione Sardegna e diverse realtà nel nord Italia. Il vostro paese è uno leader mondiali del cibo, ma è tempo che lo diventi anche del foodtech. E l’unico modo per farlo è attraverso una partnership con Israele”. In questo periodo si sta occupando del “Distretto della Salute digitale” (Digital Health Quarter) nel cuore della città di Haifa ma soprattutto del “Distretto della tecnologia applicata al cibo” (Foodtech Quarter) in Galilea. Da qui, infatti, è partita la sfida di Margalit per fare di Israele il paese leader nel mondo nel settore del foodtech. Precisamente da Kiryat Shmona, che si trova nella Valle di Hula e alle pendici del monte Hermon, da una struttura storica chiamata Beit Asher, che fu la prima scuola della città e diventerà il centro dell’ecosistema voluto da Margalit e sostenuto dal ministero dell’Economia israeliano.
«Yalla» è il motto di Margalit, a cui, ci racconta, piacciono soltanto le grandi sfide. “Israele è da sempre un miracolo dell’agricoltura frutto della necessità di sopravvivere in una terra non proprio favorevole a questo settore. Ma con la crescita di Israele sono arrivate le innovazioni”. Da un territorio poco più grande della Puglia ma con ridotta disponibilità di acqua e di terra coltivabile è nata una delle agricolture più avanzate al mondo grazie alla ricerca e alla cooperazione tra comunità, governo e aziende. “La Galilea mi ha chiesto tre anni fa di realizzare qualcosa di simile a quello che abbiamo realizzato per la sicurezza informatica a Be’er Sheva”, racconta: “Ho promesso di portare la regione a essere leader nel paese e nel mondo nel settore foodtech in sette anni”. Nessuno credeva nell’innovazione in una regione così povera, spiega Margalit. “La Galilea ha le montagne più alte e le valli più basse del paese: possono nascere ciliegie sulle prime, mango e banane sulle seconde, e tutto il resto in mezzo. Abbiamo messo assieme i 45 kibbutz del nord e alcune città che non erano molto forti economicamente. Ora, se guardi la Terra con un telescopio dalla Luna e ti chiedi dove si sta realizzando la più grande rivoluzione del cibo e della tecnologia al mondo, la risposta è Israele”. Margalit immagina la Galilea come la Silicon Valley del cibo. “Il mondo del cibo e dell’agricoltura subirà cambiamenti epocali nei prossimi dieci, venti anni”.
“Questa innovazione viene non soltanto dalle grandi aziende ma buona parte nasce dalle start up e dalle università”. Qualche numero presentato a «Seeds&Chips» aiuta a inquadrare il settore: 7,8 miliardi di dollari è il valore dell’industria agricola a livello mondiale, che occupa il 40 per cento della popolazione; nel 2018 sono stati investiti nell’innovazione tecnologica del settore 16,9 miliardi di dollari, il 43 per cento in più dell’anno precedente. Soltanto in Cina 3,52 miliardi di dollari, il 95 per cento in più del 2017. E solo in Italia lo sviluppo sostenibile creerà 3 milioni di posti di lavoro. Al business Margalit accoppia la sua visione sociale di foodtech e agritech: “Non possiamo continuare a utilizzare la plastica e l’alluminio per confezionare i cibi, abbiamo bisogno di prodotti biodegradabili. E non possiamo continuare con gli allevamenti intensivi di animali”, dice. Una soluzione la propone la start-up InnovoPro, una delle realtà sostenute da JVP capace di raccogliere 4,25 miliardi di dollari, che ha creato una proteina alternativa a quella animale a partire dai ceci, elemento centrale nell’alimentazione mediterranea e un classico della cucina israeliana. “Dobbiamo cambiare anche il nostro zucchero, che è la causa del 20 per cento delle malattie nel mondo. Qualcosa deve e sta per cambiare: non è possibile che due americani su cinque siano obesi”. Margalit, un imprenditore che nonostante una fortuna stimata in 400 milioni di dollari non dimentica il suo essere un kibbutznik impegnato a lavorare per tutti e non soltanto per sé, pensa al futuro guardando al suo passato, alla storia della sua famiglia, dei suoi genitori che vivevano in un moshav e ai suoi parenti che, partiti da un piccolo villaggio nel distretto centrale del paese ora producono nel nord alcuni tra i migliori vini rossi d’Israele. “Io sono nato nel kibbutz Na’an, nel distretto centrale di Israele. È il kibbutz più popolato del paese ed è quello dove sono nate grandi innovazioni tecnologiche per l’agricoltura, a partire dagli irrigatori. Gli agricoltori sono persone di fatica. Ma domani, grazie ai droni, ai sensori, all’intelligenza artificiale non dovranno più fare certi sforzi e potranno gestire i propri terreni attraverso la tecnologia”.
Margalit vede la Galilea come la Silicon Valley del cibo anche sotto l’aspetto della multiculturalità, grazie a case a prezzi competitivi, a stipendi elevati ma soprattutto alla possibilità di essere e sentirsi i pionieri della rivoluzione del foodtech. “Si tratta di una nuova area, metà uomini e metà donne, a differenze del Digital Health Quarter di Haifa che è a maggioranza femminile e del Cyber Quarter a Be’er Sheva, a maggioranza maschile”. In Galilea, poi, non ci sono soltanto ebrei. Ci sono ebrei, musulmani, cristiani, drusi. E attraverso la chiave del cibo e della diversità culturale Israele può espandere la propria collaborazione con i paesi vicini. “Il Mediterraneo e il Golfo hanno bisogno di nuove strategie per affrontare le sfide del lavoro e della salute”, ci dice Margalit. “Nord e sud devono cooperare, ebrei, arabi e cristiani devono cooperare. Cibo, acqua, agricoltura e innovazione sono i primi ponti che, prima della politica, gli imprenditori stanno costruendo. Perché nella nostra regione, nel medio oriente ma anche nel Mediterraneo, è sempre più vero che il cibo è la chiave con cui aprire agli altri la porta di casa”.